A un anno dal rapporto Draghi, nessuna raccomandazione sull’energia è stata ancora attuata
Stanno a zero anche la difesa, la farmaceutica e la filiera automotive, mentre si registrano progressi sul fronte delle materie prime critiche. Complessivamente l'attuazione si ferma all'11,2%
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Dopo il discorso sullo Stato dell’Unione, ieri i ricercatori dell’European Policy Innovation Council hanno presentato il primo monitoraggio sull’attuazione delle 383 proposte presentate da Draghi nel suo rapporto “The Future of European Competitiveness”, presentato a Bruxelles lo scorso settembre. A emergere è che finora solo una raccomandazione su dieci è stata attuata, con un tasso di attuazione di appena l’11,2%.
«Mario Draghi ha parlato di una ‘minaccia esistenziale’ nella prefazione della sua relazione, e lo dice un banchiere centrale abituato a soppesare attentamente le parole – commenta João Cotrim de Figueiredo, eurodeputato e vicepresidente di Renew Europe – Di fronte a una minaccia esistenziale, è necessario agire rapidamente. A un anno dall’adozione della relazione, manca ancora il senso di urgenza».
Secondo il monitoraggio, il più elevato tasso d’implementazione si riscontra nel macrosettore delle materie prime critiche (33,3%), mentre restano allo zero netto aspetti fondamentali come la difesa, l’energia, la farmaceutica, la filiera automotive.
L’energia in particolare rappresenta un macigno sullo sviluppo di un Paese come il nostro, che risulta indietro sul fronte della decarbonizzazione come su quello della competitività, per lo stesso motivo: la forte dipendenza dai combustibili fossili, come ricordato sempre da Draghi nella sua audizione parlamentare di questa primavera.
Draghi, tra le priorità che deve affrontare l’Italia, segnala in particolare la necessità di «accelerare lo sviluppo di generazione pulita e investire estesamente nella flessibilità e nelle reti». Ma oltre a questo, in Italia ci sono tanti impianti rinnovabili in attesa di autorizzazione o di contrattualizzazione e dunque «è indispensabile semplificare e accelerare gli iter autorizzativi, e avviare rapidamente gli strumenti di sviluppo»: «Questo abiliterebbe nuova produzione a costi più bassi di quella a gas, che rappresenta ancora in Italia circa il 50% del mix elettrico (a fronte di meno del 15% in Spagna e di meno del 10% in Francia). Inoltre, senza aspettare una riforma europea, possiamo slegare la remunerazione rinnovabile da quella a gas, sia sui nuovi impianti che su quelli esistenti, adottando più diffusamente i Contratti per differenza (Cfd) e incoraggiando e promuovendo i Power purchasing agreement (Ppa)», come sottolineato recentemente su queste colonne.
Eppure l’Italia marcia in direzione ostinatamente contraria. A luglio le rinnovabili – le principali fonti energetiche su cui possiamo fare affidamento per sostituire i combustibili fossili, con le loro emissioni di gas serra – hanno soddisfatto il 43,8% della domanda elettrica nazionale, ma nei primi sette mesi di quest’anno Terna registra -12,9% per i nuovi impianti fotovoltaici e -25,7% per quelli eolici, mentre il Governo ha deciso di non decidere sulle aree idonee facendo ricorso al Consiglio di Stato.
Continuando a questo ritmo, a fine anno le nuove installazioni di impianti rinnovabili rischiano di fermarsi ad appena 5,2 GW, meno dei 7,48 GW conseguiti l’anno scorso e meno della metà rispetto all’ammontare necessario per traguardare gli obiettivi europei recepiti dal Governo stesso.
Secondo quanto previsto dal decreto Aree idonee, al 2030 servono infatti 80.001 MW di nuova potenza considerando le installazioni realizzate a partire dal 2021. Un obiettivo lontano, dato che con le installazioni degli ultimi quattro anni il Paese ha raggiunto appena il 24,1% dell’obiettivo (19.297 MW di nuova potenza installata dal 2021 al 2024). Per colmare questo ritardo, snocciola Legambiente, l’Italia dovrà realizzare nei prossimi 5,5 anni 60.704 MW, pari ad una media di 11.037 MW l’anno.
Luca Aterini su Greenreport del 10/09/2025
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