Anno: XXVI - Numero 173    
Martedì 9 Settembre 2025 ore 14:00
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Lo stato comatoso dell’Unione Alternative a von der Leyen cercansi.

Lo stato comatoso dell’Unione Alternative a von der Leyen cercansi.

Lo stato comatoso dell’Unione Alternative a von der Leyen cercansi.

Vigilia del discorso di von der Leyen a Strasburgo tra i malumori dei partiti che la accusano per l’accordo con Trump sui dazi, le truppe in Ucraina, il bilancio, Gaza. La sinistra cerca la firme per la sfiducia. Verdi e socialisti: “No a una crisi al buio”. Ma per l’alternativa scalpita Metsola, c’è chi sogna ancora Draghi

Pare che Ursula von der Leyen viaggi esclusivamente in prima classe in aereo, nemmeno la business le basta. Ma in questi giorni di plenaria a Strasburgo, la presidente della Commissione è stata avvistata alla mensa del Parlamento europeo, dove pranzano assistenti, funzionari, giornalisti, i parlamentari o i commissari che vogliano condividere il desco con i comuni mortali. Tentativo in extremis di mostrare maggiore umiltà alla vigilia del discorso sullo stato dell’Unione che pronuncia domani in plenaria, come ogni anno alla ripresa dopo la pausa estiva? Può darsi, considerato il clima che la tedesca troverà in aula. A poco più di un anno dalla riconferma alla guida della Commissione europea, i malumori contro von der Leyen aumentano sempre più tra i gruppi politici e tra i leader degli Stati membri. Tanto che nei corridoi dell’Eurocamera circolano i nomi per un possibile cambio in corsa: scalpita la presidente dell’Europarlamento Roberta Metsola, cui sarebbe piaciuto occupare la presidenza di Palazzo Berlaymont fin dall’inizio della legislatura. E c’è chi ancora sogna il nome più pronunciato degli ultimi due anni senza che sia mai approdato ad alcuna carica europea: Mario Draghi.

La caccia all’alternativa a von der Leyen è più che un pour parler tra i parlamentari, ma non è ancora matura. Tanto che rischia di non sbocciare la mozione di sfiducia contro la tedesca sulla quale i parlamentari della Sinistra stanno raccogliendo le firme. “Una crisi istituzionale non è una buona idea ora. Ce n’è già una in Francia. Non vedo alternative ora”, insiste la co-presidente dei Verdi Terry Reintke dopo aver criticato von der Leyen in tutte le salse in conferenza stampa. Per presentare una mozione di censura servono 72 firme entro giovedì se si vuole votare alla plenaria di ottobre. Per ora Manon Aubry e i suoi sono fermi a 52: i 46 parlamentari di The Left più 6 Verdi, di cui 4 italiani e due spagnoli. Mancano 20 firme che “cerchiamo tra i Verdi e i socialisti”, dice la francese Aubry. Imperativo categorico: escludere l’estrema destra. Ma in questo modo sarà difficile raggiungere il target.

Mozioni a parte, restano i malumori. “Siamo tutti d’accordo che l’intesa con Trump sui dazi è una brutta intesa”, dice la presidente dei liberali di Renew Europe Valerie Hayer. Ma se le si chiede quanto sia imputabile von der Leyen per quel pollice alzato nella foto con Trump dopo l’incontro in Scozia sui dazi, la francese fa notare che la presidente della Commissione “aveva un mandato dei capi di Stato e di governo. Anch’io avrei voluto un’Europa più combattiva, ma la verità è che ho sentito pochissimi capi di Stato e di governo chiedere di attivare lo strumento anti-coercizione” per colpire i giganti digitali Usa.

Parole dure pronunciate da una macroniana di ferro all’indirizzo di Berlino, da dove è partito l’ordine a von der Leyen di chiudere l’intesa commerciale con il tycoon. Parole che in tempi di asse franco-tedesco forte e rampante non sarebbero mai state pronunciate e che invece adesso sono lo specchio dello stato comatoso dell’Unione europea, di rapporti ai ferri corti tra Francia e Germania sui dossier cruciali, di leadership in crisi: quella di Emmanuel Macron, alle prese con l’ennesima crisi di governo, ma anche quella di Friedrich Merz, cancelliere appena nominato e già in ambasce per la crisi della vecchia locomotiva tedesca, la minaccia dell’estrema destra Afd, prima forza politica nei sondaggi e fattore di attrazione anche dentro la Cdu.

“Basta poco per scaricare von der Leyen quando e se il tempo sarà maturo”, ci dice una fonte parlamentare della maggioranza Ursula. “Basti vedere la reazione di Merz sull’accordo sui dazi: prima ha voluto quell’intesa e l’ha lodata pubblicamente. Quando poi si è reso conto delle proteste delle categorie tedesche, dagli imprenditori ai sindacati, ha cambiato giudizio scaricando von der Leyen”. La convinzione è che “la presidente sta diventando impopolare: se stare con lei significa perdere voti, leader e partiti la molleranno. Di certo, così non ci si arriva al 2029”, alle prossime europee.

Da presidente dell’Eurocamera, la maltese Metsola è termometro di questi malumori. Ed è anche il nome più chiacchierato per l’alternativa a Ursula. “Siamo leader, non follower. Cambiamo o saremo irrilevanti”, intima dal palco del meeting di Rimini a fine agosto, dove cita Mario Draghi, l’autore del report sulla competitività voluto da Ursula, ma ignorato dai leader degli Stati. “Lo status quo significa arrendersi, significa lasciare l’Europa ai margini”, insiste Metsola ancora a Rimini, senza timore di uscire dal suo ruolo, anzi con quella che sembrerebbe una scelta deliberata di porsi con uno standing più elevato della presidenza dell’Europarlamento, adatto eventualmente a un livello più alto, il livello di Palazzo Berlaymont.

Quanto a Draghi, la sua firma sul report più ignorato di sempre lo porterebbe quasi in automatico a sostituire Ursula, che quel report ha commissionato. Se non fosse che le ricette del banchiere piacciono molto ai socialisti del sud Europa, ai francesi, ma trovano una forte opposizione tra i frugali, contrari a quelle nuove forme di finanziamento comune che l’ex governatore della Bce invoca come necessarie per recuperare un posto nella competizione globale.

Non c’è solo l’intesa sui dazi a minacciare il ruolo di von der Leyen. Di certo questo è il dossier sul quale ogni gruppo minaccia di votare no, quando il testo arriverà in Parlamento. Ma la tedesca è sulla graticola anche sull’Ucraina. La sua insistenza sull’invio di truppe sul campo per le garanzie di sicurezza post-accordo di pace non piace per niente a Berlino, dove in teoria ci sarebbero i suoi sponsor più forti. Merz è contrario esattamente come i suoi alleati di governo della Spd. Eppure l’agenda di von der Leyen contempla incontri in Germania almeno due volte alla settimana, per dire di quanto siano fondamentali i suoi connazionali nelle scelte che poi la presidente opera in Commissione. “Ascolta solo loro”, si lamentano in Parlamento dove von der Leyen si è conquistata una buona fetta di impopolarità con la scelta di procedere d’urgenza sul Rearm Eu saltando a piè pari la discussione parlamentare. Ma proprio lì, nel feudo tedesco, il consenso di Ursula scricchiola, anche sul bilancio pluriennale europeo che, secondo i frugali, la presidente avrebbe aumentato troppo.

E poi c’è Gaza. “Von der Leyen non ha leadership su Gaza”, sentenzia il Verde Gas Eickout. Mercoledì mattina, prima del discorso della presidente in aula, sinistra e Verdi manifestano davanti al Parlamento di Strasburgo vestiti di rosso sangue. Per Aubry la Commissione è “complice del genocidio a Gaza non prendendo le sanzioni necessarie contro il governo di Benjamin Netanyahu”. L’Alto rappresentante Ue per la politica Estera Kaja Kallas difende la Commissione accusando le capitali: “Gli Stati membri non sono d’accordo su come agire perché il governo israeliano cambi linea”.

Vero. Come è vero che al minimo von der Leyen è ostaggio degli Stati membri e della loro mancanza di leadership, utile esecutrice degli ordini che arrivano dalle capitali, soprattutto Berlino. Ma alla lunga questo non basta a salvarla. Anzi, aggrava la sua posizione esponendo la sua mancanza di struttura e personalità politica alla mercé dei leader nazionali, pronti a mollarla per salvare se stessi appena risolvono il rebus dell’alternativa a questa presidente, a questa Commissione.

di Angela Mauro su HuffPost

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