Anno: XXVI - Numero 171    
Venerdì 5 Settembre 2025 ore 13:35
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Buon compleanno, caro Campo largo

Oggi con fatica si cerca di costruire l’alleanza anti Meloni, ma già governò l’Italia: sei anni fa nasceva il Conte 2, sostenuto da Renzi fino a Fratoianni. Una stagione su cui i Cinque stelle hanno costruito un’epica e il Pd fischietta.

Buon compleanno, caro Campo largo

Ogni tanto i soprannomi portano fuori strada. Il “Conte 2” è passato alla storia come il governo giallorosso e questa colorata etichetta ha avuto l’effetto di oscurare la vera storia, la composizione e l’essenza di quell’esecutivo. Esattamente sei anni fa, il 4 settembre del 2019, il presidente incaricato Giuseppe Conte si presenta al Quirinale con la lista dei ministri di un governo sostenuto dai Cinque stelle e dal Pd, ma anche da Matteo Renzi, da Nicola Fratoianni e dai parlamentari verdi. Sono le stesse forze che, oggi e da molti mesi, provano a costruire una coalizione elettorale, quasi fosse una creatura nuova. In realtà le forze del Campo largo, anche se non si chiamava così, hanno già governato. E lo hanno fatto per 17 mesi: non molti ma neanche pochi.

Curiosa storia: il Campo largo si è già “manifestato” sei anni fa e ha governato l’Italia, ma tutto questo somiglia ad una rivelazione. Non lo è, ma è come se lo fosse in un racconto della politica che insegue spesso i frammenti luccicanti e ogni tanto perde di vista il mosaico e le connessioni opache tra le sue tessere.

Quella del governo “Conte 2” è una storia, come si suol dire, esemplare: in quel periodo sono state prese decisioni molto forti – dal taglio dei parlamentari al Superbonus – che a posteriori hanno fatto molto discutere tanti ma quasi mai i suoi artefici.

Così come si è dimenticato che uno dei battistrada di quel governo era stato Matteo Renzi, proprio colui che sino a quel momento aveva più avversato il precedente governo, il Cinque stelle-Lega guidato sempre da Giuseppe Conte e che era entrato in crisi un mese prima, l’8 agosto 2019. Quel giorno, parlando alla Camera, il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini, (reduce dall’exploit del 33,4% alle Europee) aveva preannunciato la crisi di governo, pregustando elezioni anticipate e una successiva incoronazione da capo di governo. Ma Salvini, che non aveva messo in conto l’estremo pragmatismo dei Cinque stelle e del Pd, intuisce quasi subito di aver commesso un errore madornale e l’indomani dice: “Tira un’aria strana, non vorrei che nascesse un governo Di Maio-Renzi…”.

Salvini aveva fiutato bene: Dario Franceschini, Goffredo Bettini e Matteo Renzi, diversamente dal segretario del Pd, Nicola Zingaretti, scommettono sui cavalli che vinceranno: un’alleanza con il M5s e una premiership Conte.

E proprio nei 17 mesi che seguiranno, nasce il personaggio Conte, sino a quel momento ordinato notaio di quanto andavano decidendo gli azionisti del governo, Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Con l’appoggio del ministro della Salute, Roberto Speranza, il presidente del Consiglio prende la coraggiosa decisione del lockdown, che diventerà modello salvifico in mezzo mondo, ma al tempo investe su quel rischio. Si inventa le dirette televisive che entrano “dentro” i Tg dell’ora di cena. Agli italiani impauriti il capo del governo si impone in modo prescrittivo ma rassicurante. Conte diventa Conte nelle notti in cui gli italiani non riescono a staccarsi dallo schermo televisivo. Ma qualche mese più tardi – finita la sovraesposizione mediatica – si scoprirà quanto deficitaria fosse stata l’organizzazione della rete vaccinale. I cassetti vuoti trovati a palazzo Chigi dai successori di Conte e l’esilità dei progetti per investire i soldi Pnrr accelerano la caduta del “Conte 2”, della quale si incaricherà uno dei fautori iniziali: sempre Matteo Renzi. È lui che il 13 gennaio 2021, ritira i ministri dal governo, aprendo la strada a Mario Draghi.

Certo, in quei 17 mesi, si realizza anche altro. Il taglio dei parlamentari, voluto a tutti i costi dai Cinque stelle, costringe il Pd, diventato alleato, ad un drastico dietrofront: nel passaggio finale i Dem si dichiarano a favore dopo aver votato contro per ben tre volte. Tutti gli alleati di governo votano anche il Superbonus 110 per 100, provvedimento sul quale a caldo nessuno obietta e che diventerà un macigno col trascorrere dei mesi: dopo gli iniziali calcoli circa la crescita sul Pil – che si scoprirà modesta – ben presto diventerà proverbiale il peso sulle casse dello Stato e sarà a tutti evidente la natura di quel bonus. Una patrimoniale al contrario.

Ovviamente il “Conte 2” è stato figlio dell’emergenza e dell’improvvisa alzata di testa di Salvini e non fu espressione di una coalizione strutturata: il peso di quel che sarà Avs, risultò assai circoscritto, anche se l’apporto ci fu e non fu segnato da dissensi. In quella fase fu quasi naturale spargere silenziosi idranti sulle fiammeggianti ingiurie che fino ad un minuto prima avevano diviso Cinque stelle e Pd. Ma l’esperienza del “Conte 2”, l’ante-litteram del Campo largo, ha prodotto un consuntivo rispetto al quale i due principali partiti hanno assunto il loro atteggiamento classico: auto-celebrazione acritica da parte dei Cinque stelle e silenzio contemplativo da parte del Pd. Ma il meccanismo della rimozione, in politica e nella vita, è sempre insidioso: se non elabori, prima o poi l’accantonato riaffiora con sintomi persino più virulenti di prima. Le esperienze dell’Ulivo e dell’Unione sembravano eloquenti. Non è vero: non hanno insegnato nulla.

di Fabio Martini su HuffPost

 

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