La festa dell'autarchia. Porte chiuse a casa del Pd
Il programma della Festa nazionale dell’Unità più escludente degli ultimi decenni non prevede tra gli invitati esponenti di governo o della maggioranza, non contempla importanti ex segretari e nemmeno i sindaci di Roma e Milano.
Come ai tempi della guerra fredda: entrano i nostri, gli altri non sono degni
Il Pd “testardamente unitario” di Elly Schlein si prepara a inaugurare a Reggio Emilia la Festa nazionale dell’Unità più escludente degli ultimi decenni.
A dispetto di una lunga tradizione – quella di una Festa aperta anche a chi la pensa diversamente – stavolta non è stato invitato nessun esponente della maggioranza, neppure un sottosegretario, ma neanche due alleati potenziali ma diversamente scomodi come Carlo Calenda e Matteo Renzi, “ammesso” ad altre festa provinciali ma non a quella nazionale. Non si saranno Walter Veltroni che del Pd è stato il primo segretario e l’artefice del massimo successo elettorale dem alle elezioni politiche e neppure Enrico Letta, il segretario che ha trasmesso il testimone a Elly Schlein. Non risultano invitati alcuni dei personaggi che hanno fatto la recente storia del centrosinistra: un ex presidente del Consiglio come Massimo D’Alema, ma neppure Rosy Bindi, l’ultimo segretario del Ppi Pierluigi Castagnetti, che tra l’altro è di Reggio Emilia, per non parlare di Arturo Parisi, che con i democratici aprì la strada alla nascita del Pd. Non ci sarà neppure il sindaco di Milano Beppe Sala.
Certo, per alcuni ospiti ci sono stati problemi di date e di disponibilità (come nel caso di Roberto Gualtieri), ma nel complesso quella che si apre il 2 settembre si presenta come la “Festa dell’autarchia”: si ospitano soltanto i “buoni”. Solo i “nostri”.
Certo, la selezione degli inviti è il riflesso dello spirito del tempo, lo specchio di una discussione pubblica tutta centrata sull’invettiva e sul non riconoscimento dell’avversario: uno spirito che trova nel Pd un interprete convinto e coerente. Ma nel caso della Festa dell’Unità, il “nuovo” Pd, conformandosi allo spirito del tempo, rompe con la sua tradizione. Con la tradizione di apertura delle “sue” kermesse popolari, che nel passato, ospitando tra i tantissimi, personaggi come Indro Montanelli e Giulio Andreotti, Umberto Bossi e Gianfranco Fini, erano diventate un modello politico-culturale, persino un prototipo per altri, come dimostra l’esperienza di Atreju, per anni vivace e pluralista, prima di spegnersi nella norma e nel gigantismo autocelebrativo nell’ultima edizione.
Ma anche la Festa dell’Unità, curiosamente, segue un percorso molto ondivago. Il 2 settembre si apre l’ottantesima edizione che per certi verti torna allo spirito delle origini, alle prime Feste: quelle della guerra fredda. Feste chiusissime agli altri e riservate ai militanti. Che andavano istruiti e inquadrati.
Naturalmente quelli erano ben altri tempi: il Partito era la Chiesa laica per milioni di italiani. Tempi irripetibili ma il messaggio fondamentale che parte dalla Feste del 2025 è simile a quello del 1955 o del 1965: gli altri non sono degni di essere invitati a casa nostra.
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