Un Occidente che si vergogna di sé stesso
Si sfila per Gaza, si tace su Kiev. E intanto apriamo i portoni ai nostri nemici.
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A Venezia al grido “Puntiamo i riflettori della Mostra sul genocidio” si manifesta per la Palestina. Per l’Ucraina, mai. Perché? Perché la causa palestinese è il vessillo comodo: ribellione, oppressione, slogan pronti. L’Ucraina invece è scomoda: non si incastra nella liturgia dell’“Occidente cattivo”, non permette di gridare al colonialismo. Così, mentre Kiev si svuota e cade a pezzi, nelle piazze europee si agitano bandiere solo da una parte.
I governi, intanto, barcollano. Fragili, minoritari, cercano ossigeno nell’illusione bellica. “Mandiamo truppe”, dicono, per nascondere il vuoto che hanno dentro. In Italia, per una volta, la prudenza paga: Meloni non ha bisogno di finti eroismi, e sa benissimo che se un giorno si sedesse in Parlamento con una “pace” scritta a Mosca, troverebbe più applausi che fischi. Altro che patriottismo atlantico.
Ma il vero crollo è culturale. Una parte crescente della nostra società odia l’Occidente pur vivendoci dentro. Non lo critica: lo disprezza. Non lo vuole migliore: lo vuole distrutto. Si dimentica che, con tutte le contraddizioni, resta il posto più libero al mondo. Questa auto-flagellazione è il regalo più grande che possiamo fare a chi ci vuole deboli.
Il punto è tutto qui: non è Mosca, non è Teheran, non è Pechino. Siamo noi. Se continueremo a raccontarci che la colpa è sempre dell’Occidente, i nostri nemici non avranno nemmeno bisogno di sfondare le porte. Le troveranno già aperte.
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