Russia, la vittoria prima di sparare
Mosca punta su uomini sacrificabili e mobilitazione di massa, l’Europa su tecnologia e benessere. Ma senza volontà di combattere, carri armati e miliardi non bastano.
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La Russia potrebbe aver già vinto la sua sfida con l’Occidente ancor prima di sparare un colpo. Non perché disponga di un’industria militare più moderna o di armamenti superiori — su questi piani l’Europa e gli Stati Uniti restano in vantaggio netto — ma perché ha dalla sua parte la mentalità del sacrificio. Mosca continua a reclutare uomini fino a immaginare un esercito da un milione e mezzo di soldati. Per il Cremlino l’essere umano è una risorsa sostituibile, un numero da mandare al fronte. È un’impostazione che affonda le radici nella storia: dalla “Grande Guerra Patriottica” contro Hitler fino alle guerre in Cecenia, la logica russa è stata sempre quella della quantità e della resistenza ad oltranza.
Di fronte, l’Europa appare smarrita. Le indagini demoscopiche raccontano di italiani, tedeschi e francesi poco disposti a imbracciare le armi anche nel caso di una minaccia diretta ai propri confini. La gioventù europea, cresciuta nel benessere e in un clima di diritti e fluidità identitaria, non sembra avere la stessa disponibilità al sacrificio delle generazioni che vissero la Guerra fredda o la leva obbligatoria. Si tratta di un bene civile e culturale che ci ha resi più liberi, ma che in tempo di crisi potrebbe rivelarsi un punto debole.
Non è solo questione di mentalità: anche l’efficienza industriale gioca un ruolo. Un carro Leopard prodotto in Germania costa dieci volte tanto un omologo russo. In parte perché le normative ambientali e le politiche energetiche europee hanno reso i processi più onerosi. In parte perché, semplicemente, Mosca punta alla quantità, noi alla qualità. Ma la qualità non basta se non c’è chi è disposto a usarla.
Il rischio è che la Russia, pur più arretrata sul piano tecnologico e industriale, ottenga un vantaggio strategico dalla semplice assenza di volontà nel campo avversario. In guerra, prima ancora delle armi contano il morale e la disponibilità a resistere. Senza quella, i nostri arsenali restano scatole vuote.
La domanda che dobbiamo porci è dunque brutale: se domani un nemico minacciasse davvero i confini dell’Unione, quanti sarebbero pronti a difenderli? La risposta, oggi, sembra ancora troppo incerta. E forse, per il Cremlino, è già la più importante delle vittorie.
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