Il nodo Salis tra ambizioni e veti incrociati.
Solo una donna può battere Meloni?
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Nel panorama politico italiano, segnato da anni di frammentazione e leadership intermittenti, si affaccia una suggestione che sta prendendo sempre più corpo: solo una donna potrebbe davvero sfidare Giorgia Meloni ad armi pari. E in questa prospettiva si fa largo, seppur ancora timidamente, il nome di Silvia Salis, ex vicepresidente del CONI, figura giovane, competente, con una comunicazione moderna e capacità politica già testata in ambienti tutt’altro che facili.
La sua possibile “investitura” come volto nuovo del centrosinistra rappresenterebbe un cambio di paradigma non solo generazionale, ma anche strategico. A farne le spese sarebbe però Elly Schlein, leader in carica del Partito Democratico, che nonostante l’entusiasmo iniziale sembra sempre più schiacciata tra opposizioni interne e difficoltà nel costruire una narrazione unificante. Se davvero si punta su Salis, l’impressione è che il “modello Schlein” sia già stato archiviato, prima ancora di essere pienamente messo alla prova alle urne.
Ma dietro l’ipotesi Salis si nascondono diverse contraddizioni e nodi difficili da sciogliere. Il primo, il più visibile, ha un nome e cognome: Matteo Renzi. L’ombra dell’ex premier aleggia come un fardello ingombrante. Politico oggi privo di peso parlamentare, ma ancora dotato di una sorprendente capacità mediatica, Renzi è visto da molti come il vero limite a qualunque proposta riformista o centrista. Troppo divisivo, troppo screditato. Nessuno nel campo progressista sembra più disposto a seguirlo, ma nessuno riesce davvero a ignorarlo.
Ed è qui che l’operazione Salis rischia di impantanarsi. Chi la sosterrebbe davvero? I leader attuali dell’opposizione, da Schlein a Conte, non sembrano inclini a farsi da parte. Né appare probabile che il M5S accetti una figura estranea al proprio perimetro identitario. Il risultato rischia di essere l’ennesima sovrapposizione di ambizioni e personalismi che ha già indebolito, più volte, il fronte progressista.
Eppure l’intuizione di una sfida tutta al femminile non è banale. Meloni ha costruito il suo consenso anche sulla base di una leadership forte, riconoscibile, impermeabile ai ricambi continui che hanno logorato la sinistra. In un’epoca dominata da slogan volatili e da un’opinione pubblica sempre più instabile, la continuità – anche solo simbolica – conta più che mai. Se il centrosinistra vuole davvero tornare competitivo, dovrà trovare una figura capace di incarnare un’idea, non solo una sommatoria di sigle e agende.
Silvia Salis ha molte delle qualità necessarie. Ma il suo successo dipenderà più dagli altri che da lei stessa: dalla capacità dei leader attuali di riconoscerne il potenziale, e dalla volontà – politica prima ancora che personale – di fare un passo indietro per costruire qualcosa di nuovo. Finché questo non accadrà, il fronte alternativo a Meloni resterà ciò che è oggi: un cantiere aperto, ma senza architetti.
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