La moralità dell’immoralità
Ovvero la liberazione di Brusca illumina il rapporto complesso e volatile fra politica e morale.
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Nel 2021, quando Giovanni Brusca ottenne la libertà vigilata e la protezione dello Stato, Giorgia Meloni la giudicò “una vergogna senza fine”. Per i pochi ignari o smemorati, Brusca è un boss mafioso con una collezione di omicidi stimata in centocinquanta, fra cui quello di Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo e della scorta, e quello del quindicenne Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell’acido.
Ieri Brusca ha ottenuto la libertà definitiva e, da pentito, conserverà la protezione dello Stato, ma Giorgia Meloni stavolta non ha avuto nulla da ridire. Il rilievo non serve a segnalare la differenza fra la faciloneria della propaganda e l’asprezza della responsabilità, ma quanto è complessa e volatile la relazione fra politica e morale. Sul tema sono state scritte pagine a milioni ma niente è luminoso come un caso del genere.
La legge sul pentitismo – di cui oggi Brusca gode – è un patto fra lo Stato e il suo più irriducibile nemico: il mafioso. Se il mafioso, come è stato per Brusca, si pente e collabora e dunque aiuta a combattere la mafia, lo Stato in cambio gli garantisce forti sconti di pena e la protezione. È morale che lo Stato scenda a patti con uno stragista? Oggi, secondo molti, no. Secondo molti è immorale persino che lo Stato oggi mantenga la parola data. Ma sarebbe stato morale non scendere a patti e, per moralità, accettare di essere più deboli, e che fosse più forte la mafia e più numerose le sue vittime? Grazie anche quel patto, la mafia in prima pagina non ci andava da lustri, e ci torna adesso solo per l’immoralità della liberazione di Brusca. E questa si che è moralità.
di Mattia Feltri Direttore di HuffPost
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