Il divieto del terzo mandato
Non è una questione politica ma giuridica.

In questi giorni si è riaperto il dibattito sul terzo mandato dei Governatori delle Regioni e Provincie autonome perché il responsabile organizzazione del Partito Fratelli d’Italia ha detto: “Deve essere una vicenda ampia e seria e non per i casi singoli, non c’è una preclusione ad affrontarla né prima né dopo le prossime regionali”.
Che la vicenda venga usata politicamente per tenere unito il Centro destra è un conto, ma per quanto verrò dicendo la questione non è politica ma soltanto giuridica.
Nel suo ricorso per questione di legittimità costituzionale depositato in cancelleria il 21.05.2025 dal Presidente del Consiglio dei Ministri avverso la legge della Provincia autonoma di Trento n. 16 del 18.04.2025 si legge:
“Non è immediatamente rieleggibile alla carica di Presidente della Provincia chi sia stato eletto alla carica nelle tre precedenti consultazioni elettorali e abbia esercitato le funzioni per almeno settantadue mesi anche non continuativi precisandosi che questa ulteriore limitazione si applica ai soli presidenti eletti a suffragio universale diretto.
Tale modifica legislativa si pone in contrasto con l’art. 47, secondo comma, dello statuto del Trentino-Alto Adige, per mancato rispetto di uno dei limiti che quest’ultima disposizione, di rango costituzionale, pone a carico della fonte legislativa statutaria di cui la Provincia autonoma di Trento fa ora uso; collide, altresì, con gli articoli 2, 3, 48 e 51 della Costituzione, nei termini oltre argomentati.
Il limite in questione è costituito da uno dei «principi dell’ordinamento della Repubblica» stabiliti in materia di requisiti soggettivi per l’elettorato attivo e passivo per le cariche elettive delle regioni e delle province autonome, in particolare introdotto dalla legge 2 luglio 2004, n. 165, adottata in attuazione di altra disposizione costituzionale, l’art. 122, primo comma, Cost., relativo alle regioni a statuto ordinario. Il sistema elettorale regionale, ivi inclusi i requisiti soggettivi per l’elettorato attivo e passivo, nonché la disciplina dei mandati, è inquadrato dall’art. 122 della Costituzione, che al primo comma dispone che «Il sistema di elezione del Consiglio regionale e del Presidente della Giunta è disciplinato con legge della Regione nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica». Da tale disposizione si ricava che le regioni (a statuto ordinario) hanno sì una competenza legislativa in materia elettorale, ma che questa è vincolata al rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalla legge statale, che rappresentano limiti invalicabili per l’autonomia regionale. L’art. 2 della citata legge n. 165 del 2004, appunto attuativa dell’art. 122, primo comma, Cost., rubricato «Disposizioni di principio, in attuazione dell’art. 122, primo comma della Costituzione, in materia di ineleggibilità», al comma 1 stabilisce che la competenza legislativa regionale nella disciplina dei casi di ineleggibilità va esercitata nel rispetto di una serie di principii fondamentali, tra cui rileva qui quello di cui alla lettera f): occorre, da parte di ciascuna legge regionale, la «previsione della non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del Presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto, sulla base della normativa regionale adottata in materia».
Il limite dei due mandati è così individuato come una disposizione di principio in materia di ineleggibilità alle cariche di presidente di organo eletto a suffragio universale e diretto.
L’osservanza di simile limite, a titolo di principio dell’ordinamento, da parte delle Autonomie speciali è imposta oggi e da tempo a norma dei rispettivi statuti speciali, che la legge costituzionale n. 2 del 2001 ha novellato nel senso che, oltre alle Regioni speciali e alla Provincia autonoma di Bolzano, anche la Provincia autonoma di Trento ha potestà legislativa in tema di forma di Governo «e, specificatamente, […]» sui «casi di ineleggibilità», tra l’altro, alla carica di «Presidente della Provincia» (art. 47, Stat. TAA, come in tal senso modificato dall’art. 4, comma 1, lettera v), della legge costituzionale. n. 2 del 2001).
Questa potestà è sottoposta a un regime del tutto peculiare di limiti, di ordine procedurale (possibilità di impugnazione governativa entro trenta giorni dalla pubblicazione della legge statutaria ed eventuale sottoposizione a referendum regionale confermativo) oltre che di ordine sostanziale (è proprio il caso dell’insieme di limiti e vincoli con cui la citata disposizione statutaria esordisce, l’«armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica» e «il rispetto degli obblighi internazionali», oltre naturalmente all’osservanza delle pertinenti disposizioni dello statuto medesimo).
In merito alla riconduzione del divieto del terzo (intero) mandato consecutivo alla carica di Presidente della Regione o della Provincia autonoma alla natura di principio dell’ordinamento della Repubblica in materia elettorale, si evidenzia come, in presenza di un sistema di elezione a suffragio universale e diretto delle cariche monocratiche di governo, il suddetto divieto è positivamente formalizzato anche in altri testi normativi, relativi ad altri livelli di governo (quali il già ricordato art. 51, comma 2, del testo unico dell’ordinamento degli enti locali-TUEL, per quanto attiene ai Sindaci dei Comuni con più di 15.000 abitanti).
Al riguardo, è rilevante soffermarsi su almeno due aspetti:
- in primo luogo, che tale divieto è indubbiamente e decisivamente funzionale alla tutela del diritto di voto, alla par condicio fra i candidati e alla democraticità complessiva del sistema di governo, integrando un punto di equilibrio tra i diversi valori costituzionali coinvolti;
- in secondo luogo, che, conseguentemente, tale principio non può trovare applicazione differenziata sul piano territoriale, a nulla rilevando a tale fine la differenza (per altri profili sensibile) fra Regioni ordinarie e regioni speciali.
In relazione al primo aspetto, premesso che, in generale, il limite dei due mandati consecutivi in relazione a cariche monocratiche di governo, in presenza di elezione a suffragio universale e diretto, deve essere considerato un principio generale di organizzazione in ogni democrazia matura (significativo è, in proposito, che la Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa, nel suo report «On democracy, limitation of mandates and incompatibility of political functions» del 2013, si è pronunciata a favore di tetti ai mandati a vari livelli, e in particolare per le cariche monocratiche elettive, prospettandolo come standard della materia), rileva che in tal senso si è già espressa la giurisprudenza della Corte costituzionale in precedenti occasioni, anche recenti.
Chiamata a pronunciarsi in relazione al divieto del terzo mandato consecutivo per i sindaci dei comuni con popolazione non inferiore a 5.000 abitanti, la Consulta ha affermato che tale limite è funzionale a «inverare e garantire ulteriori fondamentali diritti e principi costituzionali: l’effettiva par condicio tra i candidati, la libertà di voto dei singoli elettori e la genuinità complessiva della competizione elettorale, il fisiologico ricambio della rappresentanza politica e, in definitiva, la stessa democraticità degli enti locali» (C. cost., sentenza n. 60/2023). Si tratta di un orientamento ampiamente condiviso anche dalla giurisprudenza di legittimità, che ha individuato la ratio del limite:
nello scopo di tutelare «il diritto di voto dei cittadini, che viene in questo modo garantito nella sua libertà, e l’imparzialità dell’amministrazione, impedendo la permanenza per periodi troppo lunghi nell’esercizio del potere di gestione degli enti locali, che possono dar luogo ad anomale espressioni di clientelismo» (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 26 marzo 2015, n. 6128; in termini, Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 6 dicembre 2007, n. 25497);
nel «favorire il ricambio ai vertici dell’amministrazione locale ed evitare la soggettivizzazione dell’uso del potere dell’amministratore locale» (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenze 12 febbraio 2008, n. 3383, e 20 maggio 2006, n. 11895);
nell’«evitare fenomeni di sclerotizzazione della situazione politico amministrativa locale» (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 9 ottobre 2007, n. 21100).
Anche la giurisprudenza amministrativa, fin dal 2008, ha statuito che la previsione di un limite al numero di mandati consecutivi si presenta quale «punto di equilibrio tra il modello dell’elezione diretta dell’esecutivo e la concentrazione del potere in capo a una sola persona che ne deriva», giacche’ la permanenza della medesima persona in una carica politica direttiva può produrre «effetti negativi anche sulla par condicio delle elezioni successive, suscettibili di essere alterate da rendite di posizione» (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 9 giugno 2008, n. 2765).
E’ acquisito alla giurisprudenza costituzionale che il principio dell’accesso alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza enunciato nell’art. 51 Cost. svolge «il ruolo di garanzia generale di un diritto politico fondamentale, riconosciuto a ogni cittadino con i caratteri dell’inviolabilità (ex art. 2 della Costituzione)» (sentenze n. 25 del 2008, n. 288 del 2007 e n. 539 del 1990). Questo diritto, «essendo intangibile nel suo contenuto di valore, può essere unicamente disciplinato da leggi generali, che possono limitarlo soltanto al fine di realizzare altri interessi costituzionali altrettanto fondamentali e generali, senza porre discriminazioni sostanziali tra cittadino e cittadino, qualunque sia la Regione o il luogo di appartenenza» (cfr. ex plurimis Corte costituzionale, sentenza n. 235 del 1988); considerazioni analoghe valgono per il più comprensivo diritto di voto sancito nell’art. 48 Cost., del pari coinvolto in quanto l’assetto dell’elettorato attivo è necessariamente inciso anche da vicende che pure direttamente limitano l’elettorato passivo.
Da ultimo, si richiama la recentissima pronuncia della Corte costituzionale n. 64 del 2025, resa sulla legge regionale della Campania 11 novembre 2024, n. 16, recante «Disposizioni in materia di ineleggibilità alla carica di Presidente della Giunta regionale, in recepimento dell’art. 2, comma 1, lettera f), della legge 2 luglio 2004, n. 165».
La Corte ha dichiarato incostituzionale le disposizioni per cui non era immediatamente rieleggibile alla carica di Presidente della Giunta regionale chi, allo scadere del secondo mandato, ha già ricoperto ininterrottamente tale carica per due mandati consecutivi, ha tuttavia stabilito che, «ai fini dell’applicazione della presente disposizione, il computo dei mandati decorre da quello in corso di espletamento alla data di entrata in vigore della presente legge».
Con tale ultimo inciso, il legislatore campano aveva reso inapplicabile, per la prossima tornata elettorale, il principio fondamentale del divieto del terzo mandato consecutivo posto dal legislatore statale con la legge n. 165 del 2004, così violando l’art. 122, primo comma, della Costituzione, che attribuisce al legislatore regionale il compito di disciplinare, tra l’altro, le ipotesi di ineleggibilità del Presidente della Giunta regionale nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica.
In relazione al secondo aspetto si osserva che il limite dei due mandati consecutivi risponde all’esigenza di garantire l’uniforme esercizio di diritti politici fondamentali di elettorato attivo e passivo, sanciti dagli articoli 2, 48 e 51 Cost., di tal che risulta preclusa anche per tale ragione ogni differenziazione di trattamento su base territoriale.
Tale conclusione, proprio per le cause di ineleggibilità, è stata più volte adottata da codesta Corte; particolare rilievo assume, a riguardo, la citata sentenza n. 60/2023, con cui è stata dichiarata incostituzionale la legge 11 aprile 2022, n. 9 della Regione autonoma della Sardegna concernente il numero massimo di mandati consecutivi dei sindaci, ivi fissato in misura superiore a quella individuata dalla normativa statale.
La Corte, pur riconoscendo che alle Regioni a statuto speciale compete legiferare in materia di ordinamento degli enti locali, ha ricordato che questa competenza deve essere esercitata nel rispetto della Costituzione e dei principi dell’ordinamento della Repubblica.
In particolare, la Corte ha non soltanto affermato che «la previsione del numero massimo dei mandati consecutivi – in stretta connessione con l’elezione diretta dell’organo di vertice dell’ente locale, a cui fa da ponderato contraltare – riflette infatti una scelta normativa idonea a inverare e garantire ulteriori fondamentali diritti e principi costituzionali: l’effettiva par condicio tra i candidati, la libertà di voto dei singoli elettori e la genuinità complessiva della competizione elettorale, il fisiologico ricambio della rappresentanza politica e, in definitiva, la stessa democraticità degli enti locali»; ma ha anche sottolineato l’importanza di una disciplina uniforme sul territorio nazionale per quanto riguarda l’accesso alle cariche elettive, al fine di garantire l’uguaglianza sostanziale tra i cittadini e la democraticità degli enti locali.
Ne consegue che soltanto leggi generali della Repubblica possono limitare diritti politici fondamentali, individuando il punto di equilibrio indefettibile e inderogabile fra il diritto di elettorato e il principio democratico.
Una disciplina derogatoria – sia essa riferibile a regioni ordinarie o autonomie speciali – non può alterare questo punto di equilibrio, se non violando gli articoli 2, 3, 48 e 51 Cost.
Nell’esprimersi nei medesimi termini con la sentenza n. 143 del 2010, in specifico riferimento alla potestà legislativa esclusiva della Regione Siciliana in tema di ineleggibilità e incompatibilità dei consiglieri degli enti locali (prevista dallo Statuto), la Corte costituzionale già aveva sancito che «la disciplina regionale di accesso alle cariche elettive deve essere strettamente conforme ai principi della legislazione statale, a causa dell’esigenza di uniformità in tutto il territorio nazionale discendente dall’identità di interessi che Comuni e Province rappresentano riguardo alle rispettive comunità locali, quale che sia la regione di appartenenza».
In tale occasione, la Corte costituzionale aveva precisato che «discipline differenziate sono legittime sul piano costituzionale, solo se trovano ragionevole fondamento in situazioni peculiari idonee a giustificare il trattamento privilegiato riconosciuto dalla disposizione censurate», tornando a ribadire la già in precedenza evocata possibilità che emerga la «necessità di adattare la disciplina normativa alle particolari esigenze locali» (Corte cost. sentenza n. 82 del 1982); allo stesso modo, anche nella citata, più recente sentenza n. 60/2023, ha ribadito ancora che uno scostamento dalla disciplina statale è possibile «in presenza di “particolari situazioni ambientali” (sentenza n. 283 del 2010) o “condizioni peculiari locali” (sentenze n. 143 del 2010 e n. 276 del 1997), o “condizioni locali del tutto peculiari o eccezionali” (sentenza n. 539 del 1990), ossia “in presenza di situazioni concernenti categorie di soggetti, le quali siano esclusive” per la regione ad autonomia speciale, “ovvero si presentino diverse, messe a raffronto con quelle proprie delle stesse categorie di soggetti nel restante territorio nazionale” (sentenza n. 288 del 2007; in termini identici, sentenza n. 108 del 1969), o, ancora, “solo per particolari categorie di soggetti che siano esclusive della Regione” (sentenza n. 189 del 1971)».
Tuttavia, con ogni evidenza, nessuna di queste peculiarità locali, del tutto eccezionalmente legittimanti interventi derogatori rispetto al punto di equilibrio fissato unitariamente dalla normativa statale, è rinvenibile nel caso in esame: non dimensioni demografiche singolarmente contenute, non peculiarità geografiche specificamente proprie della sola Provincia autonoma di Trento, non condizioni lato sensu ambientali che richiedano particolari discipline ai fini della selezione di eccentrici requisiti di elettorato (attivo e) passivo per l’accesso alla carica presidenziale in questione.
Pertanto, tenuto conto che la materia dell’ineleggibilità è affidata alla competenza legislativa «statutaria» della Provincia autonoma, che deve esercitarla nel rispetto della Costituzione e dei principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica (oltre che degli obblighi internazionali e delle disposizioni statutarie), deve concludersi che la legge della Provincia autonoma di Trento non rispetta il prefato principio dell’ordinamento della Repubblica, in violazione dell’art. 47, comma 2 dello Statuto.
La legge provinciale impugnata viola anche il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, cui da’ “compiuta attuazione” (cfr. sentenza Corte costituzionale n. 60/2023) l’art. 51 della Costituzione in tema di accesso alle cariche pubbliche elettive.
Infatti, avendo la legge n. 165 del 2004 stabilito la durata dei mandati dei Presidenti di Giunta regionale nel limite di due mandati, con coerente corrispondenza peraltro nel testo unico degli enti locali (art. 51), che del pari fissa in due mandati anche il limite di eleggibilità per i Presidenti di provincia (fintantoché erano eletti direttamente, dunque nell’assetto previgente alla sopraggiunta riforma operata dalla legge 7 aprile 2014, n. 56, c.d. legge Delrio) e i Sindaci (sia pure con popolazione superiore ai 15.000 abitanti, con graduazione del limite per quelli con popolazione compresa tra 5.000 e 15.000), l’attuale previsione del superamento di tale limite per il Presidente della Provincia autonoma di Trento configura una palese violazione del principio di uguaglianza tra tutti i cittadini che si candidano a rivestire corrispondenti cariche sul medesimo territorio italiano.
Tanto ciò è vero che l’art. 14 della legge elettorale provinciale del 2003 – e cioè della legge provinciale 5 marzo 2003, n. 2 (Norme per l’elezione diretta del Consiglio provinciale di Trento e del Presidente della Provincia) nella sua originaria formulazione, aveva coerentemente con il sistema stabilito «Non è immediatamente rieleggibile alla carica di Presidente della Provincia chi sia stato eletto alla carica nelle due precedenti consultazioni elettorali e abbia esercitato le funzioni per almeno quarantotto mesi anche non continuativi. Questa disposizione si applica ai soli presidenti eletti a suffragio universale diretto.».
La previsione della Provincia autonoma del limite dei due mandati consecutivi, nell’originaria versione della legge provinciale del 2003 era dunque la sola legittima perché in linea:
con il limite vigente per i Sindaci e Presidenti di Provincia;
con limite previsto per il Presidente della Regione Siciliana per effetto del richiamato art. 1 della legge costituzionale 31 gennaio 2001;
con il limite previsto dall’art. 2, comma 1, lettera f) della legge 2 luglio 2004, n. 165, recante, come visto, il principio del divieto di terzo mandato per i Presidenti delle Regioni eletti a suffragio universale e diretto.
In tale situazione, la legge provinciale impugnata, nell’ampliare il limite dei mandati consecutivi a tre, per un organo monocratico eletto a suffragio universale diretto, dotato di ampi poteri e nell’ambito di un vasto ambito territoriale, appare ictu oculi incoerente ed irragionevole rispetto al limite che, invece, opera per tutte le altre cariche monocratiche di Governo parimenti elette a suffragio universale (quali i Presidenti delle Regioni e i Sindaci dei comuni sopra i 15.000 abitanti).
L’art. 14, comma 2, citato, nella sua nuova formulazione che scaturisce dalla legge provinciale impugnata, da’ vita ad un assetto che in definitiva pregiudica i fondamentali diritti politici da assicurare a tutti i cittadini sull’intero territorio italiano per mezzo di una disciplina del numero dei mandati consecutivi di Presidente della Provincia autonoma ingiustificatamente eccentrico rispetto alle previsioni unitariamente fissate dalla normativa statale; esso, configura, dunque, una palese violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 della Costituzione, nella particolare declinazione in relazione all’accesso alle cariche pubbliche elettive di cui all’art. 51 della Costituzione, con i ripercorsi addentellati lesivi anche a carico dell’elettorato attivo radicato nell’art. 48 della Costituzione.
Alla luce di quanto sopra esposto l’art. 14, comma 2, della legge elettorale della Provincia autonoma di Trento 5 marzo 2003, n. 2, come modificato dalla legge impugnata del 18 aprile 2025, risulta in contrasto con l’art. 47, secondo comma, dello Statuto del Trentino-Alto Adige, e con articoli 2, 3, 48 e 51 della Costituzione.»
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