Il giorno della concordia
Ovvero cronaca dell’armonia che regna in Parlamento quando si parla di pace nel mondo (e di qualsiasi altra cosa).

Mentre il governo Meloni stabilisce il nuovo record mondiale indoor, con novanta voti di fiducia in trentuno mesi (poiché dal ‘94 ogni governo batte il record del precedente, già sappiamo che l’attuale sarà superato dal prossimo), il Parlamento inscena la sua esistenza con un vibrante dibattito attorno ai destini di Gaza, e a come possono cambiare per mano italiana.
Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, illustra agli onorevoli colleghi non soltanto l’entità del cordoglio, ma anche la portata dello sforzo: l’indefesso impegno diplomatico, le tonnellate d’aiuti inviati, i bambini ricoverati nei nostri ospedali, il soccorso agli sfollati, il tutto sottolineato dagli applausi della sua rappresentanza forzitaliana, entusiasta di esprimere un ministro così cruciale per le sorti del pianeta. Poi sono intervenute le opposizioni, insoddisfatte fino all’impeto della riprovazione. Sia il Partito democratico sia i Cinque stelle sia Verdi e Sinistra (impegnati a organizzare la grande manifestazione per la pace in cui – simpaticissimo paradosso – le bandiere israeliane sono sgradite) hanno protestato per la pochezza dei propositi e delle azioni del ministro. Hanno detto: è ora di far azzittire le armi; è ora di fermare quel criminale di Netanyahu; è ora di finirla adesso basta (è incredibile come considerino Tajani un totale inetto, eppure si affidino a lui per conseguire la pace perpetua). E dunque, detto gli uni e detto gli altri quello che avevano da dire, e quello che volevano fosse ascoltato, se ne sono tornati tutti a casa, felicemente concordi di aver raggiunto di nuovo un perfetto disaccordo.
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