Non votare al referendum per fermare il tentativo di opporre soluzioni vecchie a problemi nuovi
Le trasformazioni che vediamo e la loro imprevedibile dinamica suggerirebbero un confronto sincero tra corpi sociali, partiti, istituzioni per costruire l’“otre nuovo” idoneo a governare il salto tecnologico in funzione del valore delle persone nel lavoro. A prescindere dagli schieramenti.
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Come era prevedibile, avvicinandosi la data del voto, si alzano i toni sui referendum in materia di lavoro. Purtroppo, non nel merito dei quesiti ma cercando di farne un appuntamento antigovernativo. Eppure le trasformazioni che vediamo e la loro imprevedibile dinamica suggerirebbero un confronto sincero tra corpi sociali, partiti, istituzioni per costruire l’ “otre nuovo” idoneo a governare il salto tecnologico in funzione del valore delle persone nel lavoro. A prescindere dagli schieramenti.
Continuiamo infatti ad avere, nonostante la positiva crescita degli occupati, tassi di partecipazione al mercato del lavoro troppo bassi e salari mediani troppo contenuti. Questi vizi, vengono da lontano e sono imputabili a un sistema scolastico e universitario ancora troppo autoreferenziale, a Regioni che difendono un modello fallimentare di incontro tra domanda e offerta, alla più rigida disciplina del lavoro in Europa e a una contrattazione collettiva ancora tutta, o quasi, centralizzata.
Come era prevedibile, avvicinandosi la data del voto, si alzano i toni sui referendum in materia di lavoro. Purtroppo, non nel merito dei quesiti ma cercando di farne un appuntamento antigovernativo. Eppure le trasformazioni che vediamo e la loro imprevedibile dinamica suggerirebbero un confronto sincero tra corpi sociali, partiti, istituzioni per costruire l’ “otre nuovo” idoneo a governare il salto tecnologico in funzione del valore delle persone nel lavoro. A prescindere dagli schieramenti.
Continuiamo infatti ad avere, nonostante la positiva crescita degli occupati, tassi di partecipazione al mercato del lavoro troppo bassi e salari mediani troppo contenuti. Questi vizi, vengono da lontano e sono imputabili a un sistema scolastico e universitario ancora troppo autoreferenziale, a Regioni che difendono un modello fallimentare di incontro tra domanda e offerta, alla più rigida disciplina del lavoro in Europa e a una contrattazione collettiva ancora tutta, o quasi, centralizzata.
In aggiunta, il lavoro subordinato è l’ultima ridotta della tassazione progressiva. Vi si sono sottratte la gran parte delle partite iva, le azioni, i titoli di Stato. Se un lavoratore è disponibile a lavorare di più, di notte o nei giorni festivi, il suo guadagno netto è ridotto dalla aliquota marginale. La stessa cosa accade se riceve dei premi perché una normativa giacobina ne condiziona la detassazione a una complicata e incerta incrementalità della produttività.
Ce ne sarebbe insomma di che discutere per adeguare le politiche del lavoro ma i promotori dei referendum hanno preferito la via divisiva dell’ulteriore giro di vite delle vecchie tutele difensive. Se i quesiti fossero approvati, si ridurrebbe certamente la propensione ad assumere in un tempo nel quale si manifesta il pericolo della sostituzione di molti lavoratori con le macchine intelligenti.
Purtroppo, il fronte dei contrari, che comprende oltre alla maggioranza una parte della opposizione e la Cisl, ha scelto di tacere temendo che i propri argomenti fossero controintuitivi e puntando alla astensione dal voto. Scelta legittima, soprattutto nei referendum, ma che non dovrebbe impedire una dialettica sui contenuti, tale da alzare nella nostra società il livello della conoscenza dei problemi del lavoro descrivendo opportunità e speranze. Se bene accompagnate.
Si ricordano due passaggi importanti nei conflitti in materia di lavoro: la sconfitta del referendum sulla scala mobile e il varo della legge Biagi. Con tanto di caduti per il lavoro. Non transitarono solo regole più utili alla buona occupazione ma si aprirono due fasi di diffuso ottimismo che alimentarono anni di crescita fino all’intervento di traumi esogeni alla società italiana, quali furono tangentopoli e la crisi finanziaria globale.
Oggi perdiamo la opportunità di generare un analogo rimbalzo di sentiment con la approvazione della legge sulla partecipazione dei lavoratori e la simmetrica sconfitta di quelli che hanno sbagliato secolo. Rimane comunque importante e necessaria una tale assenza dalle urne che indichi quanto meno la indifferenza al tentativo di opporre soluzioni vecchie a problemi nuovi e creando un presupposto per la applicazione della novazione normativa. I prezzi del regresso sarebbero, al contrario, troppo alti.
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