Parlare di atto dovuto è una sciocchezza.
Ecco perché Colloquio con Francesco Petrelli, ex presidente delle Camere penali: “Una valutazione della procura deve sempre esserci”. Mezza ammissione dell’Anm. Tutto sarà archiviato dal tribunale dei ministri.
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Ma l’inchiesta nei confronti di Giorgia Meloni, Alfredo Mantovano, Carlo Nordio e Matteo Piantedosi per il caso Almasri era proprio dovuta? Che margine aveva il procuratore di Roma, Francesco Lo Voi, per decidere se trasmettere o no la denuncia per peculato e favoreggiamento del generale libico accusato di tortura dalla Corte penale internazionale fatta dall’avvocato Luigi Li Gotti al Tribunale dei ministri? La faccenda è complessa, però si può ricostruire partendo da alcuni punti fermi, dai quali emerge che la riforma Cartabia ha neutralizzato il concetto di “atto dovuto” per come l’abbiamo conosciuto in tanti decenni. Ma partiamo dall’inizio.
L’associazione nazionale magistrati in una nota ha sostenuto che l’inchiesta nei confronti di Meloni fosse necessaria. Un atto dovuto, per l’appunto. Secondo Francesco Petrelli, presidente delle Camere penali, “l’imprecisione va rettificata” perché “non è mai stato così”. Secondo il leader dei penalisti italiani “prima dell’iscrizione nel registro degli indagati una valutazione va sempre fatta”. Prima questa valutazione era una prassi costruita intorno all’articolo 112 della Costituzione, quello che prescrive l’obbligatorietà dell’azione penale e che, se non interpretato, può solo ingolfare le procure. Poi è diventata una prescrizione dei capi delle procure. Giuseppe Pignatone, ad esempio, da capo della procura di Roma, nel 2017, aveva diramato una circolare ai suoi sottoposti. Pignatone scriveva che quando un pm riceve un esposto o una denuncia prima di aprire un fascicolo d’inchiesta deve fare una “ponderata valutazione”, e iniziare a indagare solo quando sussistono non “meri sospetti” ma “specifici elementi indizianti”.
Circolari simili a quella romana sono state fatte in altre procure fino a quando, con il governo Draghi, ci ha pensato la ministra Marta Cartabia a mettere scrivere nero su bianco che una valutazione preliminare è necessaria: “L’articolo 335 del codice di procedura penale – spiega ancora Petrelli – impone l’obbligo di valutare la sussistenza degli indizi a carico di una persona. Non esiste più l’idea di iscrizione come atto dovuto. Ciò pone rimedio alla precedente visione delle cose”.
Questo vuol dire che una toga autorevole come Francesco Lo Voi ha utilizzato una procedura non corretta? No. Perché non possiamo sapere se questa valutazione degli indizi a carico della premier e dei suoi sia stata fatta o no. Il procuratore capo di Roma potrebbe aver letto la denuncia di Li Gotti e valutato che degli indizi a carico c’erano, dunque ha trasmesso gli atti al tribunale dei ministri. In questo senso sembrano andare la parole affidate all’Ansa da Salvatore Casciaro, vicepresidente uscente dell’Anm: “Solo in caso di denunce manifestamente infondate e fantasiose ci potrebbe forse essere un margine ridottissimo di valutazione ed evidentemente non è stato ritenuto un caso rientrante in quella tipologia”.
Il problema è come è stata raccontata la vicenda nelle prime ore in cui si è sviluppata. Il messaggio di far passare questo inizio d’inchiesta come un mero atto dovuto tout court è quantomeno fuorviante. In sostanza, non è atto dovuto recepire asetticamente un esposto. Diventa, se vogliamo continuare a usare questa categoria, atto dovuto indagare se, una volta ricevuta la denuncia si ritiene che non sia completamente inventata e campata in aria.
“Non esiste – dice ancora Petrelli – un nesso necessario secondo cui a un esposto segue un’inchiesta. Del resto, quante denunce sono state fatte nei confronti del ministro Nordio per la situazione carceraria e i suicidi in carcere? Non abbiamo avuto notizia che fosse stato indagato per questo”.
La parola, in ogni caso, ora spetterà al Tribunale dei ministri. Dovrà decidere in un tempo breve se archiviare l’inchiesta – molto probabile – o rimandare gli atti alla procura. A quel punto, però, anche ammesso che il tribunale dei ministri ordini di procedere, ci sarà il vero scoglio al processo. Lo stesso scoglio che non ha portato quasi mai, negli ultimi tempi, un ministro a processo. Parliamo dell’autorizzazione a procedere, che va chiesta alla Camera d’appartenenza dell’imputato. E che la maggioranza, va da sé, non concederà mai. La storia recente ci dice che è molto difficile che un ministro o un presidente del Consiglio vada a processo. Non ci è andato Giuseppe Conte per il Covid, né per i migranti, né per l’accusa di aver usato l’auto blu per portare la compagna al supermercato. Non ci è andato Roberto Speranza, sempre per il Covid. Non ci è andato Danilo Toninelli per le navi dei migranti bloccate in porto. Ci è andato, in un solo dei tre casi finiti davanti al Tribunale, Matteo Salvini per la vicenda Open Arms, ma è stato assolto con formula piena.
“L’inchiesta nei confronti della premier – chiosa Petrelli – è sicuramente un dato eclatante. Ed è un peccato, perché avremmo voluto ascoltare dalla voce dei ministri, in Parlamento, la chiarificazione di una situazione che presenta numerose opacità”.
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